“Questo è troppo?”- la resilienza nei contesti di emergenza


Esattamente come il nostro sistema immunitario, il funzionamento psicologico include in sé la necessità di avere un “anticorpo” in grado di fronteggiare le situazioni di vita che valutiamo, almeno in un primo momento, come insostenibili e al di sopra delle nostre capacità.

Eppure è questo il momento in cui, seppur con fatica, dobbiamo rispolverare tutte le risorse personali per agire, reagire, resistere.

Il nostro prezioso anticorpo psicologico si chiama “Resilienza”, un costrutto sul quale la psicologia moderna continua a lavorare, ma che almeno una volta nella vita non abbiamo avuto bisogno di definire, sentendone gravare il peso direttamente sul nostro corpo e, soprattutto, sulla nostra mente.

In questo momento di rinnovata emergenza su più fronti, però, questo “peso” si presenta più che mai collettivo, condiviso, generalizzato.

La resilienza, nell’ottica della scienza dei materiali, altro non è che la capacità di questi ultimi di resistere ad un urto in maniera flessibile.

La stessa calzante metafora, in psicologia, è utilizzata per indicare la capacità di un soggetto di resistere ad eventi stressogeni per ottenerne esiti positivi. Facile a dirsi, più difficile a farsi.

La prolungata esposizione ad eventi catastrofici sta prepotentemente influenzando il nostro modo di vivere, pensare ed agire.

Una volta coricati, non distinguiamo più una lieve scossa sismica dal nostro battito cardiaco o non conosciamo più, da tempo, il piacere di una doccia rilassata senza il pensiero di come poter fuggire nel più breve tempo possibile.

Questa sopportazione costante e rassegnata genera pensieri e, in alcuni casi sintomi, che non possono che determinare un significativo cambiamento nei nostri meccanismi cognitivo-comportamentali, conducendoci a pensare che non ci sia alcun modo di attenuare questo stato di cose.

Aumenta, quindi, in noi in maniera esponenziale, il potere dell’emozionalità negativa a sfavore di quella positiva, i cui benefici sono ormai completamente accertati da recenti ricerche trasversali che mettono in rilievo l’effetto dannoso delle emozioni negative sulla risposta neurofisiologica ed immunitaria del corpo umano.

A tal proposito, secondo la Broaden and Built Theory (Fredrickson, 1998), mentre le emozioni negative restringono il repertorio di possibili risposte comportamentali ad un evento stressante, quelle positive ampliano il repertorio di possibili azioni, facilitando la messa in atto di  comportamenti più funzionali ed adattivi.

Secondo questa teoria, inoltre, le emozioni positive avrebbero un effetto “undoing” su quelle negative, in quanto ridurrebbero l’effetto delle emozioni negative a livello psicologico e fisiologico.

Ne risulta che fronteggiare eventi particolarmente stressanti come quelli che si susseguono in questi giorni nel nostro territorio, è un processo altamente complesso che richiede sforzo, impegno ed un elevato controllo emotivo, estremamente significativo per la nostra crescita psicologica.

E’ importante, specialmente nei casi di “doppia emergenza”, favorire una resilienza collettiva, attraverso pensieri di supporto, empatia, vicinanza.

Ma il ruolo dell’emozionalità positiva non finisce qui.

Le emozioni positive orientano anche la scelta della strategia di coping, ovvero la selezione delle modalità del soggetto di rispondere ad eventi stressogeni (interni o esterni) in modo adattivo.

In psicologia esistono due principali tipologie di coping: quella focalizzata sul problema ed il coping  focalizzato sulle emozioni.

La prima si riferisce ad una situazione di vita modificabile, nel quale il soggetto può attivare una strategia di problem solving al fine di superare la situazione problematica.

Il coping focalizzato sulle emozioni, invece, si riferisce alle situazioni di vita non modificabili. In questo caso il soggetto può intervenire soltanto sulla propria regolazione emotiva, attraverso la modulazione della loro espressione o impatto grazie anche alla ricerca di supporto sociale, essenziale in presenza di eventi catastrofici.

Proviamo a vederla così: favorire il riadattamento a nuove situazioni di vita, anche spiacevoli, permette al nostro organismo di ristabilirsi ad un nuovo livello superiore (allostasi) e di prepararsi in maniera più rapida e adattiva ad altre situazioni di vita che richiedano sforzo di riadattamento.

E’ un po’ come pensare che se la tempesta non si placherà, placheremo noi stessi e la tempesta sarà finita.

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