NOMOFOBIA: iper-connessione e controllo patologico dello smartphone


Nomofobia (abbreviazione di no-mobile phone phobia) è il concetto che descrive la condizione di malessere psico-fisico legata al non possedere il telefono cellulare a portata di mano, nonchè al timore di perderlo, restando disconnessi.

Tale condizione è caratterizzata, inoltre, dalla sensazione di panico che coglie la persona all’idea di non essere rintracciabile e connessa. Centrale, in questa condizione, risulta anche la necessità di rimanere in costante aggiornamento sulle informazioni condivise dagli altri ed al bisogno patologico di consultazione del telefono in ogni momento e in ogni luogo.

Nella persona con nomofobia s’instaura la sensazione intensa ed ossessiva di perdere qualcosa e questo la porta a mettere in atto un controllo costante del cellulare; il rischio concreto è che si inneschi un meccanismo di dipendenza, del tutto analogo ai meccanismi di altre dipendenze, come quella da sostanze o da gioco d’azzardo.

Quando si entra nel circolo vizioso della nomofobia, si ha sempre bisogno di aumentare il “dosaggio”, tale per cui si mettono in atto una serie di comportamenti disfunzionali e maladattivi come: stare sempre più tempo al telefono, aspettare ossessivamente la risposta dell’altro, vedere che cosa accade agli amici nei diversi social network, mettere like, commentare e condividere, non spegnere mai il dispositivo (anche nelle ore notturne), svegliarsi di notte e controllare che non sia cambiato niente e, non da ultimo, portare con sè lo smartphone in luoghi non appropriati.

Cosa ci dicono le ricerche scientifiche sul tema? (fonte: State of Mind)

Secondo David Greenfield professore di Psichiatria all’Università del Connecticut, l’attaccamento allo smartphone è molto simile a tutte le altre dipendenze, in quanto causa delle interferenze nella produzione della dopamina, il neurotrasmettitore che regola il circuito celebrale della ricompensa: in altre parole, incoraggia le persone a svolgere attività che credono daranno loro piacere.

Accade che, ogni volta che vediamo apparire una notifica sul cellulare, sale il livello di dopamina, perché pensiamo che ci sia in serbo per noi qualcosa di nuovo ed interessante, che attraverso ricerca e controllo costanti, generano un circolo visizioso che si auto-mantiene.

Il nodo cruciale del problema si sviluppa nel momento in cui, non potendo prevedere in anticipo se accadrà davvero qualcosa di interessante per noi, si ha l’impulso di controllare continuamente, innescando lo stesso meccanismo che si attiva in un giocatore d’azzardo (Greenfield D.N. e Davis R.A., 2002).

Secondo un sondaggio condotto nel 2008 dall’ente di ricerca britannico YouGov per conto di Post Office Telecom su un campione di 2.163 persone, più di 6 ragazzi su 10, tra i 18 e i 29 anni vanno a letto in compagnia del telefono e oltre la metà degli utenti di telefonia mobile (quasi il 53%) tende a manifestare stati d’ansia quando rimane a corto di batteria o credito, senza copertura di rete oppure senza il cellulare.

La ricerca evidenzia, inoltre, che gli uomini tendono ad essere più ansiosi delle donne e che circa il 58% degli uomini e il 48% delle donne della popolazione soffrono di questa nuova fobia.

La portata del fenomeno, viene confermata anche da un recente studio americano effettuato da Morningside Recovery, un centro di riabilitazione mentale di Newport Beach. Tale ricerca ha dimostrato che milioni di Americani, circa i 2/3 della popolazione, sono affetti da nomofobia e che molti di loro raggiungono stati elevati di agitazione incontrollata se vengono a conoscenza di non possedere il proprio cellulare.

Nonostante ci siano all’attivo ancora un numero ridotto di ricerche sul tema, nel 2014, in Italia, Nicola Luigi Bragazzi e Giovanni Del Puente, studiosi dell’Università di Genova, avevano proposto di inserire la nomofobia nel Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM-V), recentemente revisionato.

Chi sono i soggetti più vulnerabili?

Uno studio condotto presso il Dipartimento di Personalità e di Valutazione Psicologica e Trattamento delle Dipendenze dell’Università di Granada, ha messo in evidenza che la maggior parte delle persone colpite da questa condizione sarebbero i cosiddetti giovani adulti (18-25 anni) con bassa autostima e problemi nelle relazioni sociali, i quali sentono il bisogno di essere costantemente connessi e in contatto con gli altri attraverso il telefono cellulare e che di solito sperimentano noia quando si effettuano altre attività ricreative. (Lopez Torrecillas F., 2007).

Gli adolescenti appaiono i soggetti prevalentemente a rischio di sviluppare questa nuova forma di dipendenza patologica, ma non bisogna sottovalutare l’impatto che la tecnologia può avere sulle nuove generazioni.

Sono sempre più i genitori preoccupati perché i propri figli, anche in età infantile, dedicano, in maniera più o meno consapevole, sempre più tempo all’utilizzo dei dispositivi digitali (computer, smartphone, tablet e giochi elettronici).

Una piccola, ma significativa ricerca del 2012, commissionata da AVG, celebre casa di software che realizza antivirus e altri programmi per la sicurezza del computer, ha portato alla luce che oltre il 50% dei bambini tra i 2 e i 5 anni di età, sa già come giocare con un gioco per tablet di livello base, mentre appena l’11% di loro sa come allacciarsi le scarpe.

Tali evidenze, non solo sperimentali, spingono ad urgenti riflessioni cliniche e sociali e a dedicare alla prevenzione dei comportamenti a rischio la necessaria attenzione.


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