Prendere decisioni: cosa ci dice la psicologia?


Nel corso della vita quotidiana, siamo continuamente chiamati a prendere decisioni. In alcuni casi, queste sono automatiche e spontanee, mentre, in altri, possono richiedere un processo più lungo e complesso.

Ognuno di noi prende, in media, 35.000 decisioni al giorno.

Il processo di decision making caratterizza alcuni dei più importanti eventi della vita (scegliere con chi sposarsi, comprare casa, su quale lavoro investire) e sono scelte che devono tenere in considerazione elementi diversi ed essere valutate in base ad un tempo futuro. Al contrario, scegliere quale pizza prendere durante una serata con gli amici o scappare da un pericolo imminente, richiedono una presa di decisione rapida ed efficace.

Anche se possono sembrare azioni intercambiabili, in termini psicologici, esiste una certa differenza tra decidere e risolvere un problema. Nel problem solving il nostro atto decisionale è sempre vincolato all’obiettivo che vogliamo raggiungere, mentre nel decision making, l’atto di decisione è rappresentato da un ragionamento di scelta dell’alternativa più adeguata all’interno di una serie di opzioni (Pravettoni, Leotta, Russo, 2015).

Quindi, in termini formali, il processo decisionale può essere considerato come il risultato di processi mentali, sia cognitivi che emozionali, che determinano la selezione di una linea d’azione tra diverse alternative.

Qual è la scelta che hai dovuto compiere più vicina nel tempo?

Nella maggior parte dei casi, prendere decisioni, significa ragionare in condizioni di incertezza: non riusciamo a prevedere con sicurezza l’esito futuro delle possibili alternative a disposizione; nella migliore delle ipotesi, riusciamo soltanto a stimare la probabilità di tali esiti.

E tu, che rapporto hai con l’incertezza?

I ricercatori sono generalmente d’accordo sull’importanza di due fondamentali motivazioni umane che fungono da base al processo decisionale:

  • il desiderio di ridurre l’incertezza
  • il desiderio di ottenere vantaggio

Le teorie e i modelli nel decision making

Riguardo ai modelli teorici nell’ambito della psicologia del decison making si differenziano due approcci: l’approccio normativo e l’approccio descrittivo. L’approccio normativo si focalizza sulla teoria della scelta razionale. Secondo questa teoria, in condizione di incertezza e rischio, gli individui si rappresentano le opzioni di scelta in termini di utilità attesa.

Gli studi di Kahneman e Tversky (1974;1981), tuttavia, hanno riscontrato che le persone non ragionano esattamente in termini statistici e razionali, bensì utilizzerebbero le cosiddette euristiche.

Le euristiche individuate dagli studiosi non sono altro che “scorciatoie mentali” che la nostra mente utilizza al fine di valutare la realtà circostante, ridurne la complessità e prendere decisioni in base alle informazioni presenti o passate che ha a disposizione.

L’ euristica della rappresentatività, ad esempio, consiste nel fare inferenze sulla probabilità che uno stimolo (persona, evento o oggetto) appartenga ad una determinata categoria. Attraverso le caratteristiche superficiali e con l’aiuto di schemi precedenti, la nostra mente “esegue” questa categorizzazione. Tuttavia, il fatto che le informazioni disponibili si adattino a questi schemi precedenti, non significa che siano necessariamente vere. Spesso, l’errore è dietro l’angolo!

Immaginate che vi presentino tre nuove persone e che, in precedenza, vi avessero detto che una di loro era insegnante di una scuola materna. Dopo una breve conversazione, due di loro dicono che non amano i bambini, mentre l’altra dice il contrario. Se usate l’euristica della rappresentatività, penserete che la persona che ha detto che le piacciono i bambini è proprio l’insegnante.

L’euristica della disponibilità, viene invece utilizzata per stimare la probabilità di successo, la frequenza di una categoria o l’associazione tra due fenomeni.

Ci sono più psicologi uomini o donne?

Per rispondere a questa domanda, possiamo fare uso di questa euristica e vedere quale dei due casi, nella nostra esperienza, risulta più frequente. Se ci vengono in mente più psicologi donne che uomini, risponderemo che ci sono più psicologhe.

Un ulteriore scorciatoia utilizzata dalla nostra mente per prendere decisioni, riguarda quella dell’ancoraggio, per la quale la nostra mente, appunto, rimane “ancorata” ad un’informazione principale fornita all’inizio, che influenzerà tutto il processo decisionale successivo.

Sono le emozioni a decidere per noi?

L’ipotesi del marcatore somatico

Nell’ambito del decision making, vale la pena citare l’ipotesi del marcatore somatico (Damasio, 1994). Secondo Antonio Damasio, neuroscienziato e psicologo portoghese, le persone prendono decisioni e compiono scelte sulla base di una sorta di “memoria emotiva” di precedenti esperienze.

Il marcatore somatico, pone l’attenzione sull’esito negativo alla quale può condurre una data opzione di scelta ed agisce come un segnale automatico d’allarme che “avvisa” di far attenzione alla scelta potenzialmente dannosa. Il segnale, può far abbandonare immediatamente la decisione verso l’alternativa pericolosa, portando la persona, in tal modo, a scegliere fra alternative che lo escludono.

La teoria del marcatore somatico si basa sull’associazione fra situazioni complesse e le risposte somatiche viscero-emozionali associate, rilevate dal sistema limbico e trasmesse alla corteccia somatosensoriale e insulare, dove si formerebbe una sorta di rappresentazione della modificazione dello schema corporeo, legato alla reazione emotiva che la scelta scaturisce.
Il marcatore somatico permetterebbe, così, di associare gli esiti di un’azione con la risposta emozionale primaria e di anticipare, tale risposta, in situazioni simili future.

Per semplificare, Damasio definisce marcatore somatico la sensazione, piacevole o spiacevole, che percepiamo nel momento in cui, davanti ad una scelta, si riattiva la risposta emotiva di una particolare decisione presa in precedenza. Il marcatore somatico negativo agirebbe come un “campanello d’allarme” relativo al pericoloso esito dell’opzione che abbiamo davanti.

Questo segnale, ci farebbe abbandonare immediatamente quella scelta, conducendoci a scegliere tra alternative che lo escludono. Il marcatore somatico, in sostanza, ci protegge da perdite future e consente di scegliere entro un numero più ristretto di possibilità.

Viceversa, un marcatore somatico positivo, funge da stimolo e da scorciatoia verso l’alternativa più vantaggiosa da selezionare.

marcatori somatici sono speciali sentimenti prodotti a partire dalle emozioni secondarie, ovvero quelle emozioni e sentimenti connessi, tramite l’apprendimento, a previsti esiti futuri di determinati scenari (Damasio, 1994).

Questa teoria è un’ulteriore conferma di come la decisione non sia il frutto di un ragionamento puramente analitico e razionale, bensì un processo filtrato dalla nostra personale esperienza e connesso strettamente alle nostre emozioni.

Non siamo macchine pensanti che si emozionano, ma macchine emotive che pensano. (Antonio Damasio)

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2 Replies to “<strong>Prendere decisioni: cosa ci dice la psicologia?</strong>”

  1. Fantastico l articolo e fantastica la cuginetta! Credo che scoprire certe cose sia utile per scoprire che comunque prendere delle decisioni importanti non è mai facile, forse se riuscissimo ad essere del tutto solo razionali sarebbe più facile ma …meno male che esistono le emozioni e i sentimenti!!

    1. Ciao Patrizia, grazie del commento! E’ vero, prendere decisioni importanti non è mai un corso lineare, senza intoppi, ma un processo più complesso che richiede risorse mentali molto raffinate. Tuttavia, pensare di affidarsi solo alla razionalità è illusorio. La memoria di emozioni sperimentate in situazioni passate, come descrive la Teoria del Marcatore Somatico, infatti, ci conduce verso la selezione di determinate scelte, anche quando non ne siamo completamente consapevoli.

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